Devianza minorile:
diritti ed istituti giuridici dei minori
DEFINIZIONE DI DEVIANZA L’analisi della devianza minorile si configura come un fenomeno complesso, in quanto molteplici risultano essere le variabili (familiari, sociali, personali) che entrano in gioco per determinare quella condotta interpersonale, assai diffusa in età contemporanea. In linea generale si può sostenere la tesi in base alla quale l’adolescente esibisce la propria forza fisica, la propria energia aggressiva, per dimostrare agli altri e a sé stesso di esistere; si oppone alle convenzioni e alle regole sociali non avvertendole come proprie, inventando altri valori, altre regole in contrapposizione alla cultura dominante. Da questo punto di vista l’atto deviante o la trasgressione rappresentano delle modalità di comunicazione che mette in atto il ragazzo. Secondo un’ottica pedagogica bisognerebbe concepire l’adolescente come un essere in cammino e che durante il suo percorso può deviare, rallentare, ma anche riprendersi, purché non sia lasciato solo a gestire una libertà che ancora non ha pienamente maturato (M.L. De Natale 1995). Pertanto in questo processo risulta importante la presenza dell’adulto, in grado di promuovere quella crescita, che possa rendere il minore più responsabile e più indipendente nell’affrontare le varie esperienze di vita. È comunque necessario che i termini devianza e delinquenza siano chiaramente definiti e considerati nella loro specificità, cioè non tutti i comportamenti devianti coincidono con quelli delinquenziali. Mentre questi ultimi violano i codici penali di ogni sistema sociale, gli altri comportamenti devianti violano altre norme, tra cui quelle del costume. Per deviante si intende non tutto il comportamento che si scosta dalle norme, ma quello che è connotato negativamente e giudicato pericoloso e nocivo (T.Pitch 1997). Secondo Dinitz e coll. esistono cinque categorie di devianti, definiti in base all’ordinamento normativo con il quale l’individuo è in contrasto. Queste categorie sono costituite: • dal deviante, come individuo, che contrasta con le norme relative al prevalente modello fisico, fisiologico o intellettivo; • dal deviante, come individuo, che infrange le norme religiose o ideologiche; • dal deviante, come individuo, che infrange le norme giuridiche; • dal deviante, come individuo, il cui comportamento non corrisponde alla definizione culturale di salute mentale; • dal deviante, come individuo, che rifiuta i valori culturali dominanti. Secondo Becker, invece, la devianza non è un fatto riguardante il singolo individuo, ma è creata dalla società in quanto la società crea delle norme la cui infrazione costituisce la devianza. Il suo interesse si sposta sulla risposta sociale a determinati comportamenti, definendo deviante non tanto un atto commesso da un individuo, quanto la classificazione di deviante che viene attribuita dal gruppo sociale a tale atto. Pertanto, per Becker la devianza è una transazione che si attua tra un gruppo sociale ed un individuo, che è visto dal gruppo come uno che infrange le norme. Ma è altrettanto importante ritenere che la devianza non è, sempre e comunque, dannosa alla società; si può osservare che esistono molti meccanismi attraverso i quali i comportamenti devianti rendono più stabile o permettono di migliorare il sistema sociale. Già Durkeim aveva osservato come il crimine è funzionale al sistema in quanto rinforza la coscienza collettiva. Recentemente Cohen ha analizzato alcune modalità attraverso le quali i comportamenti devianti facilitano il funzionamento della vita sociale. Secondo l’Autore la devianza può essere utile quando l’eccessivo formalismo burocratico, rigido per sua natura, non si adegua alla situazioni reali con la necessaria elasticità. In secondo luogo, secondo Cohen, la devianza costituisce una valvola di sicurezza quando le norme sono in contrasto con determinati bisogni. Infine la devianza è necessaria per chiarire le regole, che non sempre sono precise e che con il suo effetto di contrasto serve a valorizzare il conformismo. Una delle più importanti funzioni della devianza, riferita da Cohen, è quella di facilitare l’integrazione di gruppo, dato che il deviante è considerato una minaccia al benessere del gruppo. Alla luce di queste considerazioni, lo studio della devianza non può essere limitato all’analisi del comportamento o delle caratteristiche di un determinato individuo (il deviante), ma deve prendere in considerazione tutta una serie di interazioni tra l’individuo stesso e il resto del sistema sociale. Quindi per analizzare il fenomeno è necessario conoscere, valutare il tipo e le modalità delle interazioni sociali che fanno sì che un individuo arrivi progressivamente a ricoprire il ruolo di deviante. Esiste un passaggio da individuo che compie un atto deviante a individuo deviante, passaggio che è costituito da un processo psico-sociale di azioni, reazioni e controreazioni. Il processo è comprensibile attraverso lo studio della reazione sociale, intesa come l’insieme delle risposte, che il sistema sociale mette in atto nei confronti di determinati comportamenti e di determinati individui. Agli inizi del Novecento si era diffusa la teoria cosiddetta delle aree territoriali della delinquenza, portata avanti dalla Scuola di Chicago, che aveva messo in relazione il fenomeno della devianza con gli aspetti di emarginazione, indotti proprio dall’organizzazione sociale delle periferie urbane. Successivamente dagli anni Cinquanta in poi un’altra corrente di pensiero, la Nuova Scuola di Chicago, diede al determinismo dell’azione deviante un’impronta più soggettivistica. Secondo, uno dei maggiori esponenti di questo filone di ricerca scientifica, Matza, il percorso verso la devianza da parte del giovane non avviene attraverso un capovolgimento delle norme, ma attraverso la neutralizzazione delle regole sociali, poiché il soggetto tende a giustificare e a razionalizzare il proprio operato. In relazione allo studio dell’atteggiamento del reo nei confronti dell’evento criminoso un contributo importante ci viene offerto da Matza, che insieme a Sykes, ha individuato alcuni particolari strumenti cognitivi, che il soggetto prima o dopo aver commesso l’atto deviante utilizzerebbe, in modo da anestetizzare l’insorgere di eventuali sentimenti di colpa o di rimorso per quanto compiuto. Gli autori individuano le tecniche di neutralizzazione del conflitto nelle seguenti operazioni cognitive: • la negazione della propria responsabilità; • la minimizzazione del danno provocato; • la negazione della vittima; • la condanna di coloro che condannano. Tra gli autori più autorevoli che hanno analizzato le condotte devianti dei giovani, si può ricordare il noto criminologo e psichiatra Vittorino Andreoli, il quale ha colto alcuni atteggiamenti tipici dei giovani del tempo presente. Secondo Andreoli nei giovani è presente un rifiuto delle categorie del sapere e della possibilità di organizzare pensieri in sistemi. Un altro elemento che configura la psicologia dei giovani è la perdita di percezione del futuro, nel senso che i giovani per l’incapacità di rimandarne la gratificazione vogliono l’immediata soddisfazione dei desideri. Un altro aspetto importante della personalità dei giovani d’oggi è costituito dalla desensibilizzazione nei confronti della morte, cioè il giovane non distingue la morte reale da quella televisiva o cinematografica, per cui l’evento viene allontanato dall’esperienza del dolore. Andreoli ha parlato del pressappochismo del sapere giovanile, cioè della facilità con cui si danno risposte qualsiasi a questioni qualsiasi, sulla base della prima impressione. Quindi carente risulta secondo il criminologo l’elaborazione critica della conoscenza. Alla mancanza del senso di colpa e di responsabilità nei confronti del reato compiuto, spesso si associa un’assenza di valori umani e sociali, la non consapevolezza di far parte di un’organizzazione sociale. Sembra prevalere, secondo Andreoli, l’egocentrismo e il culto dell’individualità e della volontà di arrivare al successo con ogni mezzo, rispetto al principio della solidarietà sociale. Tra i piaceri mentali giovanili sembrano imperare il proibito e il pericoloso, ne fanno parte le prove di coraggio, che sono una vera e propria sfida alla morte. Il disagio di vivere, da parte dei giovani, può trasformarsi in patologia sociale quando si traduce in devianza, quando il comportamento si discosta dalla normalità, intesa quest’ultima come sopportazione delle frustrazioni ed autocontrollo pulsionale. Ma il comportamento anti-sociale dei giovani è stato esaminato anche da un’altra angolazione concettuale, ossia prendendo in esame la mancanza di gran parte di quel patrimonio di abilità personali, interpersonali e socio-cognitive, che assicurano, nel loro insieme, un comportamento sociale efficace (Goldstein, B.Glick). Come possibile rimedio contro l’anti-socialità e quindi contro l’incapacità di gestire condotte ostili, viene proposto un metodo di apprendimento strutturato di abilità sociali, metodo che deriva dalla teoria dell’ apprendimento sociale proposto da A.Bandura. Una delle procedure per l’apprendimento strutturato, destinato a giovani delinquenti, consiste nell’offrire ad essi diverse possibilità di mettere in pratica e ripetere sistematicamente, con l’aiuto dell’operatore, i comportamenti corretti oppure osservati (role playing). |